giovedì 16 settembre 2010

Lo sport di alto livello in Italia: che fare?

Tempo fa Roberto Pradel mi passò un documento da pubblicare eventualmente nel blog.
Poi l'Hop e altre cose hanno preso il sopravvento, anche perchè la voglia era quella di provare a costruire una discussione costruttiva anche su un blog, per una volta.
Partendo dagli spunti offerti da Roberto molte sono le domande: quale può essere un modello da proporre in Italia? In cosa possiamo eventualmente prendere da altre nazioni? Cosa prendere invece da altri sport (sci di fondo, atletica,...)? Ma soprattutto... in Italia interessa l'orienteering di alto livello?
Mi piacerebbe che anche chi solitamente resta fuori dalle "discussioni online", ma ha dalla sua grandi capacità di analisi dicesse la sua (capito Andrea?), o intervenisse anche chi ha fatto "discrete" esperienze all'estero (toc toc, Marco?).

Di seguito il documento di Roberto.

Per un nuovo modello di sviluppo e sostegno allo sport individuale di alto livello

Come la società è in rapida evoluzione cosi anche lo sport è in cambiamento; è forse il tempo di ripensare allo sport di alto livello?
Avvio di un processo virtuoso per uno sport sostenibile a misura di atleta?
Lo può intraprendere la FISO?

Da tempo ho in serbo di scrivere qualche pensiero sulle trasformazioni in atto nel mondo sportivo d’alto livello, sia professionistico, come semi-professionistico o dilettantistico che dir si voglia, con particolare riferimento agli sport non spiccatamente professionistici.

Frequentando da tempo, prima come atleta, poi da numerosi anni come tecnico-allenatore nonché dirigente societario mi sono reso conto che esistono all’estero modelli di sostegno allo sport di alto livello molto diversificati, alcuni poco invidiabili ed altri che hanno delle caratteristiche molto diverse dalle nostre, tra le quali alcuni aspetti sicuramente interessanti.

A mio avviso esistono delle forti criticità nella pratica sportiva agonistica non solo negli sport maturi e magari professionistici di altissimo livello, ma in generale le problematiche si stanno generalizzando fino a lambire in modo serio gli sport “minori”, questo per una serie di concause anche molto differenti tra di loro - di cui:

1) il modello culturale dello sport attuale visto spesso essenzialmente come sola possibilità di reddito dall’opinione pubblica - in cui le problematiche degli sport maturi e più ricchi si ripercuotono con le loro criticità anche negli altri.

2) non sono più in molti gli atleti a pensare che lo sport possa essere la sola ed unica carta da giocare per la propria affermazione di vita, da un lato è un ottima cosa, ma dall’altro porta a pensare che i due ambiti non possano convivere, almeno per un po’.

3) l’attività sportiva militare, meritevole per il sostegno economico fornito, non sempre sa dare risposte adeguate alle mutate esigenze dei giovani atleti, e non sempre è in grado di fornire sostegno tecnico - metodologico adeguato con visioni a lunga scadenza. Ora che i posti sono limitati non è più sufficiente pescare nel mucchio tra tanti.

4) di fatto molti sportivi con ottime potenzialità non hanno il tempo e la possibilità di maturare e crescere, ma vengono espulsi da un sistema poco attento agli obbiettivi individuali di lungo periodo. Vige ora un sistema poco attento alla valorizzazione del talento ma piuttosto alla selezione del momento.

Alcuni spunti riportati sopra, non di certo esaustivi pongono la problematica e sottolineano che vi sono delle realtà all’estero che si sono mosse da tempo e sembrano funzionare meglio, in alcune discipline si possono vedere i frutti di movimenti sportivi in salute ( Francia e Svizzera sono due esempi significativi).

Introdotto il tema è da porre la questione sul cosa sia possibile fare,…..

Ogni soluzione va tarata sul proprio territorio in funzione delle potenzialità e tenendo conto delle criticità esistenti, ma guardare a Francia e Svizzera potrebbe essere un primo passo, (come guardare alla Svezia per la promozione dello sport per tutti), la Francia ha un sistema abbastanza centralizzato ma ha saputo creare per sport come lo sci, l’orientereering del quale conosco atleti e tecnici, ed altri ancora, un organizzazione centrale in rete con i progetti federali e una presenza di alto livello sul territorio con tecnici ed addetti (numerosi sono gli atleti militari che godono di grande autonomia in accordo con il mondo federale). In Svizzera il messaggio che traspare forte è che un atleta meritevole è sostenuto in modo integrato in varie forme, pubbliche e private per il tempo in cui rimane di alto livello per poi tornare alla vita lavorativa con il bagaglio di competenze, professionalità e studi acquisito negli anni da sportivo professionista o semiprofessionista. Traspare il messaggio culturale e la consapevolezza che lo sport di alto livello è comunque una parentesi di vita.

Campi di allenamento all’estero anche lunghi in cui si prepara un esame universitario, stage lavorativi, soluzioni part-time o a tempo, per preparare il futuro in cui il sistema integrato permetta poi di entrare, nel mondo del lavoro senza essere l’ultimo degli ultimi, senza privilegi, ma senza chiusure . Un sistema che permetta a chi ne ha voglia e capacità di poter dedicare anni di vita per la realizzazione sportiva senza che questo sia limitato solo a chi se lo può permettere, o ancor più triste a chi decide di dare tutto per lo sport per poi rimanere deluso dell’ambiente, magari incapace di gestire una realtà alle volte ostile e anche pericolosa per la salute, rimanendo con poco o nulla in mano.

Cosa fare dunque, un azione culturale, un occhio a cosa funziona all’estero, un sostegno mirato e non a vita….per lo stretto tempo necessario a coloro che abbiano dimostrino di avere le capacità, sostegno alle società e tecnici, economico si, ma anche formativo ed organizzativo.

Sostegno che può essere, un arruolamento a termine senza discontinuità tecnica, opzioni di permanenza per chi lo desideri, borse di studio per chi comunque intende applicarsi senza soluzione di continuità nello studio, buoni formativi per chi voglia specializzarsi ed acquisire delle competenze professionali e cosi via.

Ancoraggio alle realtà locali, Comunità, laddove possibile, per creare un circuito virtuoso anche di stimolo ed emulazione, interazione tra Ente pubblico, Coni, Associazioni, Comunità per una visione comune e delle regolamentazioni coordinate, definite da parametri certi e cosi via.

Nessuna pretesa da parte mia di essere esaustivo, ma solo la speranza che un piccolo stimolo come questo possa mettere in sinergia ancor meglio attività e procedure che comunque per certi aspetti esistono, sono in fase di gestazione, ma non ancora completamente mature.


Un grazie per l’attenzione

Roberto Pradel

dirigente-allenatore

US Primiero San Martino

3 commenti:

andrea ha detto...

Ma soprattutto... in Italia interessa l'orienteering di alto livello?

questo tuo incipit è gran parte del problema. E nel testo di Roberto trovo molta "paura" che l'orienteering e lo sport inteso in forma più generale non è più interessato all'alto livello. Non fa (più) parte della nostra cultura.

Lo sport esiste da una vita, da tempi storici millenari, ma lo sport inteso come lo intendiamo noi ha una storia motlo più breve, direi ben meno di centenaria senza nulla togliere ai pionieri di tanti sport.

Lo sport è stato in tutti questi anni, non necessariamente in questo ordine un'opportunità di lavoro o di notorietà o un opportunità di divertimento svago, sfida, confronto con se stessi e con gli altri.

Ora la società, e quella italiana più di altre, è cambiata in una direzione in cui si evita il confronto, la fatica. Lo sport non serve più per divertirsi, per allontanarsi da casa, per diventare qualcuno, ci sono tante altre soluzioni, il computer, la tv, l'università fuori sede.

E tutto si è spostato più avanti, chi faceva sport lo mollava a 16-18 anni per "farsi una vita" ora nella terra dei mammoni e dell'assistenzialismo in cui viviamo succede a 21-24. Cioè spesso confondiamo atleti che interrompono l'attività agonistica con quelli che ancora la devono cominciare solo che avrebbero già l'età per essere atleti a tutti gli effetti.

Certo queste considerazioni sono ovvie come lo sono quelle di roberto per chi analizza il problema.

Quando si prende un problema in mano bisogna pensare alle soluzioni senza porsi traguardi utopistici. DA dove partire? Ci penso!

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo con lei. Penso che questo sia una buona idea.
Condivido pienamente il suo punto di vista. In questo nulla in vi e 'una buona idea. Pronta a sostenere voi.